Visto che oggi si riunisce la Commissione Ambientale Aeroportuale del Catullo, perchè non ricordiamo due Sentenze? Una del TAR del Lazio e una del Consiglio di Stato in merito al fatto che: "ai sensi della legge n.447 del 1995, in quanto solo con la predisposizione dei piani di risanamento sorge l’obbligo di impegnare in via ordinaria una quota del 7% dei fondi di bilancio previsti per tale scopo"

.
.
E dato che oggi c'è la riunione della Commissione Ambientale Aeroportuale, dal sito web dell'ANCAI - Associazione Comuni Aeroprotuali d'Italia ricopio queste due Sentenze.
.
<><><>
<><><>
<><><>
<><><>
<><><>
<><><>
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

(Sezione II BIS)
Composto dai magistrati:
Patrizio GIULIA Presidente
Evasio SPERANZA Consigliere, rel.
Renzo CONTI Consigliere
Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sui ricorsi n.1385/2001 e n.1387/2001R.G. proposti: quanto al primo, da GEAC(Società di gestione Aeroporto di Cuneo), SAGAT (con sede in Caselle Torinese), AEROPORTI di ROMA S.P.A(con sede in Fiumicino), S.A.C. S.P.A.(Società Aeroporto di Catania), GE.A.P. (Società di gestione Aeroporto di Palermo), S.A.C.B.O.s.p.a di Orio al Serio, S.A.CAL s.p.a.(con sede in Lamezia Terme), SEA s.p.a.(Società Servizi Aeropotuali(con sede in Segrate), ASSAEROPORTI(Associazione Italiana Gestori Aeroporti con sede in Roma) e, quanto al secondo(ricorso n.1387/2001), da GESAC s.p.a(Aeroporto Internazionale di Napoli), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Maurizio Riguzzi e Gustavo Romanelli, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, Via Cosseria n.5,

Contro

IL MINISTERO DELL’AMBIENTE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
e, nei confronti,
1. della REGIONE LAZIO, in persona del Presidente della G.R. pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Bottino, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, Via M.A. Colonna,n.27,
2. del COMUNE di FIUMICINO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberta Ciotti e Maria Claudia Ioannucci, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, Via Maria Adelaide, n.12,
3. del COMUNE di CINISI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso e domiciliato da e presso l’Avv. Maria Claudia Ioannucci.
4. del COMUNE di MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Rita Surano, Salvatore Ammendola, Alessandra Montagnani e Francesco Pirocchi, con domicilio eletto presso questo ultimo in Roma, Via Temistocle Solera n.7/10,
5. di ALITALIA s.p.a., non costituitasi in giudizio;
6. dei Comuni di CUNEO, TORINO, CATANIA, ORIO AL SERIO, SEGRATE, CATANIA, ROMA, LAMEZIA TERME, BERGAMO, GRASSOBIO, SERIATE, FOSSANO, SAVIGLIANO, CASELLE TORINESE, SAN MAURIZIO CANAVESE, SAN FRANCESCO AL CAMPO, PESCHIERA BORROMEO, SOMMA LOMBARDO, VIZZOLA TICINO, LONATE POZZOLO, FERNO, SAMARATE, CARDANO AL CAMPO, CASORATE SEMPIONE, nonché(ricorso n.1387/2001) dei Comuni di NAPOLI e CASORIA, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non costituitisi in giudizio;
7. delle Regioni PIEMONTE, SICILIA, LOMBARDIA, CALABRIA, nonché(ricorso n.1387/2001) della Regione CAMPANIA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituitesi in giudizio;

e, con l’intervento(ad opponendum),

della ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMUNI AEROPORTUALI ITALIANI (A.N.C.A.I.), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa e domiciliata da e presso l’avv. Maria Claudia Ioannucci;

Per l’annullamento, previa sospensione,

del decreto del Ministro dell’Ambiente 29 novembre 2000(G.U. 6 dicembre 2000,n.285), recante "Criteri per la predisposizione da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore", unitamente ad ogni altro atto annesso, connesso, presupposto e conseguente;
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio, del Ministero dell’Ambiente e dei Comuni di Milano, Fiumicino e Cinisi, nonché l’atto di intervento dell’A.N.C.A.I.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore, per la pubblica udienza del 10 gennaio 2002, il Consigliere Evasio Speranza e uditi gli avvocati delle parti come da relativo verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Le ricorrenti(esclusa la associazione di categoria ASSAEROPORTI) sono tutte società di gestione aeroportuale. Esse hanno impugnato il D.M.29 novembre 2000 suindicato.
Il primo gruppo di ricorrenti, di cui al gravame n.1385/2001, notificato in data 26, 29, 30 e 31 gennaio e 1° febbraio 2001 e depositato il 6 successivo, hanno dedotto a carico del citato D.M i seguenti motivi:
1. Errata e falsa applicazione dell’art.10, quinto comma, della legge n.447 del 1995, atteso che il gravato decreto presuppone la predeterminazione dei valori limite in presenza dei quali impostare i piani di risanamento, valori che non sarebbero stati ancora determinati, in quanto il D.P.C.M.14.11.97, che ha stabilito i valori limite di emissione, immissione, di attenzione e di qualità, non si applica alle infrastrutture dei trasporti, comprese quelle del trasporto aereo;
2. Errata e falsa applicazione dell’art.10, quinto comma, della legge n.447 del 1995, in quanto solo con la predisposizione dei piani di risanamento sorge l’obbligo di impegnare in via ordinaria una quota del 5%(ora 7%) dei fondi di bilancio previsti per tale scopo, obbligo che riguarda le imprese aeroportuali che superino i limiti di rumore, non ancora fissati e il cui superamento impone l’adozione dei piani stessi;
3. Errata e falsa applicazione dell’art.10, quinto comma della legge n.447 del 1995. Eccesso di potere sotto più di un profilo e in particolare per irrazionalità e ingiustizia manifeste, atteso che gli obiettivi di risanamento previsti dal piano di contenimento e abbattimento del rumore devono essere conseguiti dagli aeroporti entro 5 anni, mentre per gli altri settori del trasporto tale termine è di 15 anni, con conseguente disparità di trattamento tra i diversi operatori del trasporto;
4. Errata e falsa applicazione dell’art.10, quinto comma, della legge n447 del 1995. Eccesso di potere sotto più di un profilo, in particolare per irrazionalità e ingiustizia manifeste, in quanto il D.M. impugnato, laddove(art.4) prevede attività di risanamento congiunta di più gestori, non risulta coordinato con la norma(art.2) che ha introdotto un diverso termine cronologico per la realizzazione dei piani di risanamento.
Il Mistero dell’Ambiente e il Comune di Milano hanno chiesto la reiezione del ricorso per infondatezza.
Analoghe conclusioni in merito sono state formulate dai Comuni di Fiumicino e di Cinisi e dall’intervenuta A.N.C.A.I..
La Regione Lazio si è costituita in via formale.
Le parti ricorrenti, con successiva memoria, hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
Con il ricorso n.1387/2001, proposto dalla società GESAC, notificato in data 26.1.2001(al Ministero dell’Ambiente ed alla società ALITALIA ) e 30.1.2001(alla regione Campania e al Comune di Napoli) ha impugnato lo stesso DM 2911.2000 per "Errata e falsa applicazione dell’art.10, quinto comma, della legge n.447 del 1995" con cui ha formulato censure analoghe a quelle contenute nel primo motivo del ricorso n.1385/2001.
In corrispondenza di tale ricorso si è costituito il solo Ministero intimato, il quale ha chiesto la reiezione del ricorso per infondatezza.
Con sentenza n.6622/01 del 18.7.01, la Sezione, riuniti i ricorsi in epigrafe, ordinava alle parti ricorrenti di integrare il contraddittorio nei confronti degli enti (Comuni, Province e Regioni) nel cui territorio risultassero operative le infrastrutture aeroportuali delle società o enti tenuti alla applicazione del decreto ministeriale 29.11.2000, incombente adempiuto dalle parti onerate con il deposito in data 18.10.2001 della documentazione comprovante le eseguite notificazioni integrative.
Alla pubblica udienza del 10 gennaio 2002, i ricorsi erano trattenuti per la decisione.

DIRITTO

I. Come accennato in punto di fatto, le ricorrenti(fatta eccezione della Associazione di categoria ASSAEROPORTI) sono tutte società di gestione aeroportuale le quali hanno impugnato, sotto più profili sopra rassegnati, il Decreto del Ministro dell’Ambiente 29.11.2000(G.U. 6.12.2000, n.285), recante "Criteri per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e di abbattimento del rumore".
II. I ricorsi all’esame, già riuniti con la citata sentenza n.6626/01, possono essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica sentenza.
Con il primo motivo(sostanzialmente comune ai due gravami all’esame), le parti ricorrenti, premettono e ricordano che la legge n.447 del 1995(art.10, comma 5), prevede che le imprese aeroportuali debbano presentare piani di contenimento ed abbattimento del rumore nel caso di superamento dei valori limite stabiliti in conformità all’art.10, comma 2, della stessa legge, valori limite, che previsti dall’art.2, devono essere determinati con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri(art.3, comma 1, lettera a, della legge n.447/95), principio ripreso dall’art.3 del D.P.R.n.496/1997. Quindi, il citato art.3, comma 1, lettera a, della legge n.447/1995 stabilisce che sono di competenza dello Stato "la determinazione … con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri … dei valori limite di cui all’art.2"(appunto i valori limite di emissione, di immissione, i valori di attenzione e di qualità).
Solo il superamento e la violazione dei valori stabiliti con DPCM comporterebbero la predisposizione e l’effettuazione, da parte delle società di gestione aeroportuale, dei piani di contenimento ed abbattimento del rumore, indicando tempi di adeguamento, modalità e costi, ed obbligherebbero le stesse società ad impegnare in via ordinaria una quota dei fondi di bilancio previsti per le attività di manutenzione e potenziamento delle infrastrutture per l’adozione degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore. Anche se il D.P.R. n.496/1997 non dice espressamente che i gestori devono adempiere alle predette incombenze nel solo caso di superamento dei valori limite, tuttavia un tale principio – proseguono le ricorrenti – deve ritenersi implicito, poiché detta norma regolamentare, in caso contrario, sarebbe illegittima, oltre che irrazionale, atteso che per valutare il superamento dei valori limite, occorre che i medesimi siano fissati, ciò che nella specie non sarebbe ancora accaduto.
In particolare: il D.P.C.M. 14.11.1997, che determina i valori limite di emissione e immissione e i valori di attenzione e di qualità, non si applicherebbe alle infrastrutture dei trasporti(e quindi anche a quelle del trasporto aereo), come sarebbe chiarito dallo stesso decreto, secondo cui i valori limite assoluti di immissione e di emissione relativi alle singole infrastrutture dei trasporti, all’interno delle rispettive fasce di pertinenza, nonché la relativa emissione saranno fissati con i rispettivi decreti attuativi, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome"; il D.M. 31 ottobre 1997, non potrebbe considerarsi abilitato a stabilire i valori limite, in quanto si sarebbe occupato solo delle metodologie di misurazione del rumore, mentre se esso avesse interferito con la determinazione dei valori limite, sarebbe violato l’art.3, comma primo, lett. a), della legge n.447/1995, competendo tale materia ad un DPCM, per cui l’art.6 del D.M.31.10.1997, rileverebbe solo ai fini della realizzazione di strumenti di pianificazione urbanistica della zona limitrofa all’aeroporto, ma non individua i livelli di rumore aeroportuale in presenza dei quali debbono essere adottati i piani di contenimento e abbattimento del rumore; analoghe considerazioni varrebbero per il D.M.20 maggio 1999, che parimenti(data la sua natura) non avrebbe potuto interferire con la determinazione dei valori limite e che coerentemente si occupa dei criteri per la progettazione dei sistemi di monitoraggio per il controllo dei livelli di inquinamento acustico in prossimità degli aeroporti, nonché dei criteri per la classificazione degli aeroporti in relazione al livello di inquinamento acustico.
Secondo le ricorrenti, il D.M. impugnato sarebbe quindi illegittimo, in quanto la sua adozione presuppone la predeterminazione dei valori limite, in presenza dei quali impostare i piani di risanamento, valori che non sarebbero mai stati determinati.
Il motivo in discorso, ad avviso del Collegio, non pare condivisibile.
Al riguardo, occorre ricordare che la legge n.447/1995(Legge quadro sull’inquinamento acustico), per quanto qui interessa, prevede (all’art.3): - (comma 1, lettera a), la determinazione, ai sensi della L.8 luglio 1986,n.349, e successive modificazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell’ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, dei valori di cui all’articolo 2; - (comma 1, lettera c), la determinazione, ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1977,n.616, con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità e, secondo le rispettive competenze, con il Ministro dei lavori pubblici, con il Ministro dei trasporti e della navigazione e con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, delle tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico, tenendo conto delle peculiari caratteristiche del rumore emesso dalle infrastrutture del trasporto; - (comma1, lettera f), l’indicazione, con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro dei trasporti e della navigazione, dei criteri per la progettazione, l’esecuzione e la ristrutturazione delle costruzioni edilizie e delle infrastrutture dei trasporti, ai fini della tutela dall’inquinamento acustico; (comma 1, lettera m), la determinazione, con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, dei criteri di misurazione del rumore emesso dagli aeromobili e della relativa disciplina per il contenimento dell’inquinamento acustico, con particolare riguardo(per quanto qui interessa):
1) ai criteri generali e specifici per la definizione di procedure di abbattimento del rumore valevoli per tutti gli aeroporti e all’adozione di misure di controllo e di riduzione dell’inquinamento acustico prodotto da aeromobili civili nella fase di decollo e di atterraggio;
2) ai criteri per la classificazione degli aeroporti in relazione al livello di inquinamento acustico;
3) alla individuazione delle zone di rispetto per le aree e le attività aeroportuali e ai criteri per regolare l’attività urbanistica nelle zone di rispetto. Ai fini della presente disposizione per attività aeroportuali si intendono sia le fasi di decollo o di atterraggio, sia quelle di manutenzione, revisione e prove motori degli aeromobili;
4) ai criteri per la progettazione e la gestione dei sistemi di monitoraggio per il controllo dei livelli di inquinamento acustico in prossimità degli aeroporti.

I decreti di cui al comma 1, lettere a), c), e), h) e l) dovevano essere emanati, in base allo stesso art.3, comma 2, entro nove mesi dall’entrata in vigore della legge e i decreti di cui al comma 1, lettere f), g) e m), entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge e i provvedimenti di competenza dello Stato dovevano(art.3, comma 4) essere coordinati con quanto previsto dal decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 1° marzo 1991(G.U. n.57 dell’8 marzo 1991).
L’art.10, comma 5, della legge n.447/95 – di cui le ricorrenti denunciano la violazione – dispone che "In deroga a quanto previsto dai precedenti commi"(e, cioè, dal comma 1, che prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 2milioni a lire 20 milioni, in caso di mancata ottemperanza al provvedimento legittimamente adottato dall’autorità competente ai sensi del precedente art.9; dal comma 2, secondo cui "Chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione o di immissione di cui all’art.2 , comma 1, lettere e) e f)", che costituiscono, rispettivamente, il valore massimo che può essere emesso da una sorgente sonora misurato in prossimità della sorgente stessa, ovvero il valore massimo che può essere emesso da una o più sorgenti sonore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno, misurato in prossimità dei ricettori; dal comma 3, in base al quale la violazione dei regolamenti di esecuzione di cui all’art.11 e delle disposizioni dettate in applicazione della presente legge dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 500.000 a lire 2.000.00), "le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, ivi comprese le autostrade, nel caso di superamento dei valori limite di cui al comma 2, hanno l’obbligo di predisporre e presentare al comune piani di contenimento e abbattimento del rumore, secondo le direttive emanate dal Ministro per l’ambiente con proprio decreto entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Essi devono indicare i tempi di adeguamento, modalità e costi e sono obbligati ad impegnare, in via ordinaria, una quota fissa non inferiore al 7 per cento dei fondi di bilancio previsti per le attività di manutenzione e di potenziamento delle infrastrutture stesse per l’adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore".
Ora, il D.P.C.M.14 novembre 1997, risulta emanato proprio in attuazione dell’art.3, comma 1, lettera a), della legge n.447/1995 e determina i valori limite di emissione, i valori limite di immissione, i valori di attenzione e i valori di qualità, di cui all’art.2, comma 1, lettere e), f), g) ed h); comma 2(secondo cui i valori di cui al comma 1, lettere e), f), g) ed h), sono determinati in funzione della tipologia della sorgente, del periodo della giornata e della destinazione d’uso delle zone da proteggere); comma 3(che distingue i valori di immissione in valori limite assoluti, determinati con riferimento al livello equivalente di rumore ambientale(lettera a), e in valori limite differenziali, determinati con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale ed il rumore residuo(lettera b), della stessa legge.
In particolare, tale D.P.C.M. stabilisce: i valori limite di emissione delle singole sorgenti sonore fisse e mobili, come definiti dall’art.2, comma 1, lettera e), della legge n.447/1995, e in particolare i valori limite di emissione delle singole sorgenti fisse, di cui all’art.2, comma 1, lettera c), della stessa legge, che concerne anche le strutture aeroportuali, e che sono quelli indicati nella tabella B (e che si applicano a tutte le aree del territorio ad asse circostanti secondo la rispettiva classificazione in zone), allegata allo stesso decreto(cfr.art.2, comma 2); i valori limite assoluti di immissione, come definiti dall’art.2, comma 3, lettera a), sempre della legge in parola, riferiti al rumore immesso nell’ambiente esterno dall’insieme di tutte le sorgenti, indicati nella tabella allegato C, con la precisazione che all’esterno delle rispettive fasce di pertinenza, dette sorgenti concorrono al raggiungimento dei limiti assoluti di immissione(cfr. art.3 del D.P.C.M. in discorso); i valori limite differenziali di immissione(art.4); l’art.5 dello stesso decreto dispone che "I valori limite assoluti di immissione e di emissione relativi alle singole infrastrutture dei trasporti, all’interno delle singole fasce di pertinenza, nonché la relativa estensione, saranno fissati con i rispettivi decreti attuativi, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome".
Secondo le ricorrenti, come accennato, tale D.P.C.M., in virtù del predetto art.5, non sarebbe applicabile alle infrastrutture dei trasporti e, quindi al trasporto aereo, in mancanza della fissazione dei valori limite, il cui superamento imporrebbe a carico delle ricorrenti la predisposizione dei piani di contenimento e abbattimento del rumore.
Peraltro tale tesi non pare condivisibile, atteso che proprio il citato D.P.C.M. 14.11.1997, come si è visto, è stato emesso ai sensi dell’art.3, comma 1, lettera a), della legge n.447/95 ed esso si riferisce espressamente a tutte le sorgenti di rumore sia fisse che mobili, come espressamente indicato sia nell’art.2 dello stesso decreto - secondo cui "i valori limite di emissione …sono riferiti alle sorgenti fisse ed alle sorgenti mobili"(tra l’altro, il decreto, richiama l’art.2, comma 1, lettere c e d, della legge n.447/1995, le quali definiscono le "sorgenti sonore fisse", nelle quali, tra le altre, sono ricomprese espressamente "le infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali, marittime, industriali, artigianali, commerciali ed agricole", nonché "i depositi dei mezzi di trasporto di persone e merci" e, rispettivamente, "sorgenti sonore mobili", tutte le sorgenti sonore non comprese nella precedente lettera c, mostrando chiaramente di avere voluto prendere in considerazione, ai fini della determinazione dei valori limite, ogni tipo di sorgente sonora), sia nell’art.3, in base al quale "i valori limite assoluti di immissione, …riferiti al rumore immesso nell’ambiente esterno dall’insieme di tutte le sorgenti sono quelli indicati nella tabella C…" .
Nessun dubbio pare sussistere circa la circostanza che tra le sorgenti sonore rientrino espressamente anche quelle del trasporto: infatti, l’art.3, comma 2, del decreto le indica espressamente(infrastrutture stradali, ferroviarie, marittime, aeroportuali, ecc.) per escluderle dall’applicazione della tabella C soltanto all’interno delle rispettive fasce di pertinenza, individuate dai relativi decreti attuativi, mentre "all’esterno di tali fasce, dette sorgenti concorrono al raggiungimento dei limiti assoluti di immissione".
Tale concetto risulta ribadito dall’art.5 del decreto in parola (rubricato "Infrastrutture dei trasporti"), invocato erroneamente, nei termini suesposti, dalle ricorrenti, la cui ratio va ravvisata nella peculiarità che, all’interno delle infrastrutture(comprese quelle aeroportuali), non possono essere imposti all’evidenza gli stessi limiti fissati per le zone esterne, per cui coerentemente la norma ha disposto che "i valori limite assoluti di immissione e di emissione relativi alle singole infrastrutture dei trasporti, all’interno delle rispettive fasce di pertinenza, nonché la relativa estensione, saranno fissati con i rispettivi decreti attuativi".
Appare pertanto indubbio che i valori limite di rumore fissati dal decreto hanno valenza generale e si applicano in tutte le zone, fatta eccezione, appunto, per le zone interne alle singole infrastrutture.
Cade quindi il presupposto, in quanto erroneo, sulla cui base le ricorrenti hanno costruito il primo motivo, circa la mancanza del prescritto DPCM di determinazione dei valori limite di emissione e di emissione delle infrastrutture aeroportuali, in attuazione dell’art.3, comma1, lettera a), della legge n.477/1995.
Il motivo stesso si appalesa quindi infondato, per cui nessuna illegittimità, nei sensi ivi prospettati, è ravvisabile a carico dell’impugnato decreto del Ministero dell’Ambiente 29.11.2000, che richiama espressamente, tra l’altro, il DPCM 29.11.1997 proprio in quanto recante: "Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore".
Va aggiunto che comunque il D.M.31 ottobre 1997, quanto al rumore aeroportuale, ha stabilito la metodologia per la determinazione delle fasce di pertinenza degli aeroporti (zone A, B, C) e il livello massimo di rumore aeroportuale ammesso in ogni fascia(cfr. in particolare l’art.6), per cui anche per tale ragione il primo motivo deve essere respinto, tenuto anche conto che la censura delle ricorrenti – secondo cui il D.M.31.10.1997 non era abilitato a stabilire i valori limite – appare sicuramente anche inammissibile, atteso che lo stesso D.M., pubblicato nella G.U.del 15.11.97, non risulta, allo stato, tempestivamente impugnato entro il prescritto termine di decadenza dalla sua pubblicazione.
Il D.M.29.11.2000(impugnato), ha quindi fissato i criteri per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, dei piani di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto nell’esercizio delle infrastrutture stesse, ai sensi dell’art.10, comma 5, della legge n.447/1995.
Va comunque osservato che, anche nell’ipotesi in cui la disciplina dei valori massimi di rumore non fosse stata ancora emanata, da ciò non deriverebbe la illegittimità del D.M. impugnato, attesa la diversità e l’autonomia esistenti tra tale disciplina e quella relativa alla predisposizione dei piani di risanamento, che il Ministro era tenuto ad emanare, ai sensi del citato art.10, comma 5, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge n.447/1995.
In conclusione, il primo motivo deve essere respinto per infondatezza..
La stessa sorte va riservata al secondo motivo, con cui si deduce l’illegittimità del D.M 29.11.2000, laddove(art.6) prevede a carico delle imprese aeroportuali di comunicare "l’entità dei fondi accantonati annualmente e complessivamente a partire dalla data di entrata in vigore della legge n.447 del 1995", obbligo di accantonamento che, secondo le ricorrenti, scatterebbe, ai sensi della stessa legge(art.10, comma 5), solo dopo la predisposizione dei piani di risanamento.
Invero, la legge dispone testualmente che "Essi"(società ed enti gestori di servizi pubblici di trasporto) "devono indicare tempi di adeguamento, modalità e costi e sono obbligati ad impegnare, in via ordinaria, una quota fissa non inferiore al 7 per cento dei fondi di bilancio…".
Il legislatore, come si desume dal testo ("sono obbligati" "in via ordinaria") e dalla ratio della norma in parola, ha imposto tale obbligo di impegno, immediatamente operante indipendentemente dalla previa predisposizione dei piani di risanamento, che in mancanza di un termine espresso non può che decorrere dall’entrata in vigore della legge, proprio per apprestare a tempo debito le necessarie risorse finanziarie per attuare i previsti piani di risanamento.
Infatti, va evidenziato che tale obbligo è stato disposto, dal comma 5 dell’art.10 della legge n.447/95, in deroga alle sanzioni amministrative previste dai precedenti commi della stessa norma a carico di coloro(compresi gli esercenti delle infrastrutture del trasporto) che non rispettino i valori limite di emissione e di immissione.
Pertanto, la disposizione impugnata non modifica la decorrenza dell’obbligo di accantonamento che, come si è visto, è immediata, ma si limita a stabilire l’obbligo di comunicazione della entità dei fondi accantonati annualmente "dalla data di entrata in vigore della legge" e con cadenze periodiche.
Parimenti non va condiviso il terzo motivo, con cui le ricorrenti lamentano in sostanza una disparità di trattamento, avendo il D.M. impugnato prefissato il conseguimento degli obiettivi di risanamento previsti dal piano entro cinque anni per i gestori aeroportuali, termine previsto invece in quindici anni per gli altri operatori del trasporto.
Al riguardo, va subito evidenziato che la legge n.447/1995 non fissa direttamente i limiti temporali entro cui i gestori debbono attuare i piani di risanamento, demandando al Ministro dell’ambiente la competenza ad emanare, con proprio decreto, direttive sui piani di contenimento ed abbattimento del rumore.
Nell’ambito di tale discrezionalità, il decreto poteva fissare termini diversi per l’attuazione dei piani di risanamento, tenendo conto delle dimensioni delle infrastrutture e della loro diffusione sul territorio.
Appare pertanto ragionevole la norma del D.M. che assegna termini diversi agli esercenti di ferrovie e strade che si sviluppano sull’intero territorio nazionale o interessano più regioni e/o più comuni e gli esercenti aeroportuali, il cui intervento risulta sicuramente più circoscritto.
Il D.M. impugnato, infatti, prevede(art.2) le seguenti tipologie di infrastrutture: 1) infrastrutture di tipo lineare di interesse regionale e locale (lettera a); 2) reti di infrastrutture lineari di interesse nazionale o di più regioni(lettera b); 3) aeroporti(lettera c); 4) altre infrastrutture. Per le infrastrutture di cui ai precedenti numeri 1) e 2), il decreto stabilisce che gli obiettivi di risanamento previsti dal piano devono essere conseguiti entro quindici anni, mentre per le altre infrastrutture(n.ri 4 e 5 ) tali obiettivi devono essere conseguiti entro cinque anni.
Ora, tale differenziazione dei termini di risanamento appare sicuramente giustificata, ragionevole e congrua, laddove stabilisce un termine più lungo per le infrastrutture di tipo lineare, quali le ferrovie e le strade, proprio in considerazione della loro peculiarità e della loro complessità, anche per la molteplicità delle Amministrazioni interessate, con la conseguenza che, invece, una disparità di trattamento sarebbe stata perpetrata in senso opposto, qualora il D.M. avesse stabilito un termine uniforme, senza tenere conto di situazioni e realtà tipologiche infrastrutturali diversificate.
Va aggiunto che tali termini, anche per gli aeroporti, non hanno carattere inderogabile e perentorio, potendo essere prolungati dalle regioni "in considerazione della complessità degli interventi da realizzare, dell’entità del superamento dei limiti e dell’eventuale esigenza di delocalizzazione di insediamenti ed edifici…"(cfr.art.2 D.M. in parola).
In conclusione, tale decreto deve considerarsi immune dai vizi denunciati col motivo in questione.
Neppure va condiviso il quarto motivo, con cui le imprese ricorrenti lamentano profili di irrazionalità e di disparità di trattamento a carico del D.M. impugnato, laddove questo, prevedendo(art.4) attività di risanamento congiunta di più gestori, avrebbe trascurando il diverso termine cronologico stabilito per la realizzazione dei piani di risanamento, i diversi criteri di misurazione del rumore aeroportuale rispetto a quelli previsti per gli altri trasporti, il principio di collaborazione degli altri gestori delle infrastrutture dei servizi di trasporto, ove questi non determinano il rumore maggiore, il principio dell’equa suddivisione delle responsabilità e dei costi fra i gestori dei differenti tipi di trasporto, le singole situazioni casuali condizionanti e scriminanti le attività delle diverse imprese aeroportuali con effetto distorsivo della libera concorrenza fra gli stessi aeroporti.
Al riguardo va ricordato che il D.M. impugnato prevede: all’art.3, comma 4, che "Nel caso di più gestori concorrenti al superamento dei limiti previsti per la zona da risanare, i gestori medesimi provvedono di norma all’esecuzione congiunta delle attività di risanamento. La regione, o l’autorità da essa indicata, in sede di definizione dell’ordine di priorità di cui al comma 3, tiene conto delle esigenze di esecuzione congiunta degli interventi" ; all’art.4, (2° comma) che "Il rumore immesso nell’area in cui si sovrappongono più fasce di pertinenza, non deve superare complessivamente il maggiore tra i valori limite di immissione previsti per le singole infrastrutture" ed altresì(comma 3) che "L’attività di risanamento è svolta dai soggetti di cui all’art.1, relativamente alle strutture concorrenti, che partecipano all’intervento di risanamento, secondo il criterio riportato in allegato 4 che costituisce parte integrante del presente decreto, oppure attraverso un accordo fra i medesimi soggetti, le regioni e le province autonome, i comuni e le province territorialmente competenti".
Al riguardo, va evidenziato che i termini previsti dall’art.2(comma 2) dello stesso decreto per il conseguimento degli obiettivi di risanamento riguardano la realizzazione delle opere previste nei diversi piani di risanamento da presentare da parte dei gestori con riguardo alle singole tipologie di infrastrutture ivi previste, mentre l’esecuzione congiunta risulta disciplinata dall’art.3, comma 4 e dall’art.4, comma 3, sopra riferiti.
Ciò precisato, va comunque osservato che il D.M. 29.11.2000, proprio per evitare il lamentato "sfasamento" nella realizzazione congiunta dei piani di risanamento del rumore prodotto congiuntamente dalle infrastrutture aeroportuali e da altre strutture dei trasporti , prevede che la regione può indicare priorità diverse nell’esecuzione dei piani di risanamento in modo da assicurare quella coincidenza temporale di esecuzione dei piani di risanamento aeroportuali con quelli delle altre infrastrutture.
Parimenti non è ravvisabile alcuna contraddizione interna tra il comma 2, art.4, e l’art.3, comma 4, del D.M. impugnato.
Invero, all’attività di risanamento nelle aree in cui si sovrappongono più fasce di pertinenza, in modo da non superare il maggiore tra i valori limite di immissione previsti per le singole infrastrutture, gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture partecipano secondo il criterio di cui all’allegato 4 del D.M.29.11.2000, oppure mediante un accordo fra i medesimi soggetti, le regioni, le province e i comuni.
Tale allegato, rubricato "Criterio di valutazione delle percentuali dell’attività di risanamento da ascrivere a più sorgenti sonore che immettono rumore in un punto", stabilisce i criteri di ripartizione dei costi per l’attività di risanamento in funzione del livello di rumore prodotto da ogni singola sorgente e del livello di rumore da conseguire globalmente da tutte le sorgenti interessate, in tal modo attuando il principio dell’equa ripartizione dei costi e delle responsabilità fra i gestori dei differenti servizi di trasporto per l’esecuzione dell’attività di risanamento congiunta.
Né il fatto che i criteri di misurazione del rumore aeroportuale(espresso in Lva) siano differenti da quelli previsti per gli altri tipi di trasporto(Leq), comporta la irrazionalità del criterio di distribuzione percentuale previsto dal predetto allegato 4, essendo il valore del rumore aeroportuale, come opportunamente evidenziato dal Ministero dell’ambiente, tecnicamente esprimibile in termini dell’indicatore di rumore per le altre infrastrutture e riconducibili ad un indicatore comune Leq.
Neppure sussiste l’asserita disparità di trattamento tra le diverse imprese aeroportuali, nel caso in cui le relative attività siano condizionate da situazioni di rumore delle aree in cui sono collocati gli aeroporti estranee alla funzione del trasporto aereo, considerato che, in base al citato allegato 4, ogni sorgente di rumore, per il conseguimento dei valori limite di immissione del rumore, deve partecipare al risanamento in relazione al livello di rumore da essa immesso, per cui la presenza di sorgenti di rumore diverse da quella aeroportuale non comporta alcun effetto distorsivo della libera concorrenza, essendo i costi di risanamento stabiliti in misura proporzionale a ciascun livello di rumore immesso da ognuna di tali sorgenti.
Neppure fondata è la censura delle ricorrenti, secondo cui, essendo il termine per conseguire gli obiettivi di risanamento previsti dal piano delle società di gestione aeroportuale più breve di 10 anni, è ipotizzabile che gli altri gestori di servizi pubblici di trasporto non debbano espletare alcuna attività, posto che, effettuati gli interventi da parte delle imprese aeroportuali, il rumore residuo potrebbe essere irrilevante, vanificando il principio della concorrenza fra gli interventi dei diversi gestori.
Difatti, tale rilievo trascura che il D.M. 29.11.2000(art.3, comma 4), in caso di più gestori concorrenti al superamento dei limiti previsti nella zona da risanare, prevede che i medesimi gestori provvedono di norma alla esecuzione congiunta delle attività di risanamento, a tal fine demandando alla regione, in sede di definizione dell’ordine di priorità, di tenere conto delle esigenze di esecuzione congiunta degli interventi, previsioni sufficienti, come già sopra evidenziato, per evitare "sfasamenti" tra i piani di risanamento aeroportuali con quelli delle altre infrastrutture.
In conclusione, i ricorsi all’esame, già riuniti con sentenza n.6626/01, vanno respinti.
Quanto alle spese di giudizio, la Sezione, tenuto conto della novità e peculiarità della questione esaminata, ritiene equo disporne l’integrale compensazione fra le parti(costituite).
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio(Sezione II BIS), definitivamente pronunciando, respinge i ricorsi indicati in epigrafe.
Spese compensate.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 10 gennaio 2002.
Patrizio GIULIA PRESIDENTE
Evasio SPERANZA CONSIGLIERE, est.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5822/04 N. 10743 Reg.Ric.
N. 10939 Reg.Ric. Reg.Dec. ANNO 2002

DECISIONE

sul ricorso in appello n.10743/2002 proposto dalla SEA, Società Esercizi Aeroportuali s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maria Alessandra Sandulli e Maurizio Riguzzi, ed elettivamente domiciliato presso la prima in Roma, Corso Vittorio Emanuele n.349;
contro
il Ministero dell’ambiente, non costituitosi in giudizio;
e nei confronti
- dell’ANCAI – Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali Italiani, in persona del legale rappresentante pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avv. Maria Claudia Ioannucci, ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Roma, Via Maria Adelaide n.12;
- delle Regioni Lazio, Piemonte, Sicilia, Lombardia, Calabria, dei Comuni di Fiumicino, Cinisi, Milano, Cuneo, Torino, Catania, Orio al Serio, Segrate, Roma, Lamezia Terme, Bergamo, Grassobio, Seriate, Fossano, Savigliano, Caselle Torinese, San Maurizio Canavese, San Francesco al Campo, Peschiera Borromeo, Somma Lombardo, Vizzola Ticino, Lonate Pozzolo, Ferno, Samarate, Cardano al Campo, Casorate Sempione, Napoli, Casoria, delle Società Geac, Sac, Geap, Sacal, Sea, dell’associazione Aeroporti, e dell’Alitalia, non costituitisi in giudizio;
e sul ricorso in appello n.10939/2002 proposto dalla GESAC s.p.a., dalla SAGAT s.p.a. e dalla SACBO di Orio al Serio s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gustavo Romanelli e Maurizio Riguzzi, ed elettivamente domiciliati presso il primo in Roma, Via Cosseria n.5;
contro
il Ministero dell’Ambiente, in persona del Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso la stessa in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
e nei confronti
- degli Aeroporti di Roma s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avv. Franco Giampietro, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, Via Franco Sacchetti n.114;
- dell’ANCAI – Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali Italiani, in persona del legale rappresentante pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avv. Maria Claudia Ioannucci, ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Roma, Via Maria Adelaide n.12;
- delle Regioni Lazio, Piemonte, Sicilia, Lombardia, Calabria, dei Comuni di Fiumicino, Cinisi, Milano, Cuneo, Torino, Catania, Orio al Serio, Segrate, Roma, Lamezia Terme, Bergamo, Grassobio, Seriate, Fossano, Savigliano, Caselle Torinese, San Maurizio Canavese, San Francesco al Campo, Peschiera Borromeo, Somma Lombardo, Vizzola Ticino, Lonate Pozzolo, Ferno, Samarate, Cardano al Campo, Casorate Sempione, Napoli, Casoria, delle Società Geac, Sac, Geap, Sacal, Sea, dell’associazione Aeroporti, e dell’Alitalia, non costituitisi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II bis, n.3382/2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente, della società Aeroporti di Roma e dell'ANCAI;
Visto il ricorso in appello incidentale proposto dalla società Aeroporti di Roma;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza dell’11 giugno 2004 relatore il Consigliere Roberto Chieppa. Uditi, altresì, l’Avv. Sandulli, l’Avv. Riguzzi e l’Avv. dello Stato Spina;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso in appello n.10743/2002 la SEA, Società Esercizi Aeroportuali s.p.a. ha chiesto, per i motivi esposti nella parte in diritto della presente decisione, l’annullamento della sentenza n.3382/2002 con la quale il Tar del Lazio ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto del Ministro dell’Ambiente 29 novembre 2000 (G.U. 6 dicembre 2000, n.285), recante “Criteri per la predisposizione da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore”,
Con ricorso n.10939/2002, proposto per analoghi motivi, l’annullamento della medesima sentenza è stato chiesto anche dalla GESAC s.p.a., dalla SAGAT s.p.a. e dalla SACBO di Orio al Serio s.p.a..
Si è costituita in giudizio Aeroporti di Roma s.p.a., chiedendo con ricorso incidentale autonomo la riforma della sentenza.
Il Ministero dell’ambiente e l’ANCAI – Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali Italiani si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.
All’odierna udienza le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei due ricorsi, proposti per analoghi motivi avverso la medesima sentenza.
2. Oggetto della presente controversia è l’impugnato decreto del Ministro dell’Ambiente 29 novembre 2000 (G.U. 6 dicembre 2000, n. 285), recante “Criteri per la predisposizione da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore”.
Le ricorrenti sono tutte società di gestione aeroportuale e contestano quattro punti dell’impugnato decreto:
a) la previsione di piani di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto nell’esercizio delle infrastrutture aeroportuali in assenza della fissazione dei valori limite;
b) la previsione di obblighi di accantonamento di risorse finanziarie da destinare all’adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore in assenza di un accertato superamento dei limiti;
c) irragionevolezza e disparità di trattamento tra i diversi operatori del trasporto della previsione secondo cui gli obiettivi di risanamento previsti dal piano di contenimento e abbattimento del rumore devono essere conseguiti dagli aeroporti entro 5 anni, mentre per gli altri settori del trasporto tale termine è di 15 anni;
d) irragionevolezza della previsione di un’attività di risanamento congiunta di più gestori, non coordinata con il menzionato diverso termine cronologico per la realizzazione dei piani di risanamento.

Con l’impugnata sentenza il Tar ha respinto i ricorsi delle società aeroportuali, rilevando che:
1) l’art.10, comma 5, della legge n.447/1995 ha previsto l’obbligo, anche per le società di gestione aeroportuale, di predisporre piani di contenimento e di abbattimento del rumore in caso di superamento dei valori limite di emissione e di immissione; tali valori sono stati fissati anche per le infrastrutture aeroportuali dal DPCM 14/11/1997 e pertanto con l’impugnato DM 29/11/2000 sono stati legittimamente fissati i criteri per la predisposizione dei piani;
2) l’art. 6 dell’impugnato D.M. 29.11.2000, si limita a stabilire a carico delle imprese aeroportuali l’obbligo di comunicare “l’entità dei fondi accantonati annualmente e complessivamente a partire dalla data di entrata in vigore della legge n. 447 del 1995”; tale obbligo deriva direttamente dalla legge (art. 10, comma 5) ed è immediatamente operante indipendentemente dalla previa predisposizione dei piani di risanamento, al contrario di quanto sostenuto dalle ricorrenti;
3) è ragionevole la norma del D.M. che assegna termini diversi per il conseguimento degli obiettivi di risanamento agli esercenti di ferrovie e strade che si sviluppano sull’intero territorio nazionale o interessano più regioni e/o più comuni e gli esercenti aeroportuali, il cui intervento risulta sicuramente più circoscritto;
4) il diverso termine previsto per il conseguimento degli obiettivi di risanamento non determina alcuno sfasamento dell’attività congiunta da parte di più gestori, potendo essere adottati i necessari accorgimenti nella fase esecutiva dell’approvazione dei piani.
Le società appellanti principali e la Aeroporti di Roma, appellante incidentale, hanno contestato l’impugnata sentenza ribadendo le proprie tesi per tutti i quattro punti controversi.
3. Con il primo motivo di appello le società aeroportuali contestano l’impugnato decreto nella parte in cui avrebbe previsto l’adozione di piani di contenimento del rumore, pur in assenza della fissazione dei valori limite da rispettare.
Il motivo deve essere respinto, anche se con una motivazione diversa rispetto a quella del giudice di primo grado.
Il Tar parte dall’esatto presupposto dell’obbligo di predisporre piani di contenimento del rumore, imposto dall’art.10, comma 5 della legge n.447/1995, in caso di superamento dei valori limiti, ma erra nel ritenere che tali valori siano stati fissati anche per gli aeroporti dal DPCM 14/11/1997.
Il DPCM 14/11/1997 prevede in generale la determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore, distinguendo tra valori limite di emissione (valore massimo di rumore, che può essere emesso da una sorgente sonora e misurato in prossimità della stessa) e valori limite di immissione (valore massimo di rumore che può essere immesso nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno da una o più sorgenti di rumore e misurato in prossimità dei ricettori).
La completa applicazione del DPCM alle infrastrutture aeroportuali non può derivare, come sostenuto dal Tar, dal generico richiamo all’art. 2, comma 1, lett. c) della legge n.447/1995, in quanto lo stesso art. 5 del DPCM prevede che “i valori limite assoluti di immissione e di emissione relativi alle singole infrastrutture dei trasporti, all'interno delle rispettive fasce di pertinenza, nonché la relativa estensione, saranno fissati con i rispettivi decreti attuativi, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome”.
Da ciò deriva che il DPCM 14/11/1997 non si applica all’interno delle c.d. fasce di pertinenza aeroportuali, ma solo all’esterno di esse dopo la perimetrazione delle fasce.
Tale tesi è confermata da una serie di dati normativi, chiaramente finalizzati a distinguere i valori limite all’interno ed all’esterno della fasce di pertinenza aeroportuale
L’art. 3, comma 2, del DPCM 14/11/1997, relativo ai soli limiti di immissione, prevede che “per le infrastrutture stradali, ferroviarie, marittime, aeroportuali…, i limiti di cui alla tabella C allegata al presente decreto, non si applicano all'interno delle rispettive fasce di pertinenza, individuate dai relativi decreti attuativi. All'esterno di tali fasce, dette sorgenti concorrono al raggiungimento dei limiti assoluti di immissione”.
Ciò significa che, una volta definite le fasce, le infrastrutture aeroportuali concorrono al raggiungimento dei valori limite di immissione acustica al di fuori delle fasce stesse.
All’esterno della fasce non può inoltre ipotizzarsi la verifica dei limiti di emissione derivante dalle infrastrutture aeroportuali, in quanto tali limiti devono essere misurati in prossimità della sorgente, che è situata certamente all’interno delle fasce di pertinenza aeroportuale.
Del resto, i limiti di emissione sono richiamati dall’art.3, comma 3, del DPCM 14/11/1997 solo all’interno delle fasce di rispetto e per tutte le altre sorgenti sonore, diverse dalle infrastrutture aeroportuali.
All’interno della fasce i limiti sono già stati fissati con il DM 31/10/1997 (Metodologia di misura del rumore aeroportuale), con cui sono state previste tre fasce (zone A, B e C), con diversi valori di Lva (Livello di valutazione del rumore aeroportuale, diverso rispetto alla misura del Leq (A), utilizzata per i valori fissati dal DPCM 14/11/1997).
Le fasce di rispetto costituiscono quindi delle “zone cuscinetto” per il rumore aeroportuale e solo dopo la perimetrazione delle tre fasce di rispetto i limiti fissati dal DM 31/10/1997 (all’interno delle fasce) e dal DPCM 19/11/1997 (all’esterno) diventano concretamente applicabili e può essere verificato l’eventuale superamento.
Va aggiunto che i Comuni devono procedere, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a), della legge n. 447/1995, alla classificazione del territorio comunale e che, in assenza di tale zoonizzazione, l’art. 8 del DPCM 19/11/1997 prevede che si applichino i limiti di cui all’art. 6, comma 1, del DPCM 1/3/1991.
Da tale quadro normativo emerge che il superamento dei limiti di rumore da parte delle infrastrutture aeroportuali può essere concretamente verificato solo dopo la perimetrazione delle fasce di rispetto.
Non è quindi corretto affermare, come fatto dalle ricorrenti, che l’impugnato decreto è stato adottato in assenza della fissazione dei limiti di rumore, in quanto tali limiti erano vigenti fin dal 1997 ma non potevano trovare applicazione fino alla perimetrazione delle fasce di rispetto.
Al riguardo, l’impugnato decreto 29/11/200 non si pone in contrasto con la descritta normativa.
Infatti, gli obblighi gravanti sulle società di gestione aeroportuale in relazione ai piani di contenimento del rumore scattano con precise cadenze temporali a partire dall’individuazione dei confini delle aeree di rispetto, di cui al DM 31/10/1997 (art.2, comma 2, lett. c), dell’impugnato DM).
In assenza della perimetrazione delle fasce, pertanto, non scatta alcun obbligo, non essendo possibile verificare l’eventuale superamento dei valori limite.
L’impugnato decreto risulta quindi pienamente conforme alla normativa in vigore ed anche all’interpretazione della stessa sostenuta dalle società ricorrenti (ed, in particolare, alla relazione tecnica del Prof. Sestrieri e dell’Ing. Giampietro, prodotta dalla Aeroporti di Roma)
Il ricorso di primo grado deve essere, quindi, respinto sul punto, benché con motivazione parzialmente diversa rispetto a quella contenuta nell’impugnata sentenza.
4. Il secondo motivo dei ricorsi in appello riguarda la questione della previsione di obblighi di accantonamento di risorse finanziarie da destinare all’adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore in assenza di un accertato superamento dei limiti.
L’art. 6 dell’impugnato decreto prevede che “Le società e gli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture comunicano entro il 31 marzo di ogni anno, e comunque entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, al Ministero dell'ambiente e alle regioni e ai comuni competenti, anche al fine del controllo dell'applicazione delle disposizioni in materia di accantonamento delle risorse finanziarie di cui all'art. 10, comma 5, della legge n.447/1995: a) l'entità dei fondi accantonati annualmente e complessivamente a partire dalla data di entrata in vigore della legge n.447/1995; b) lo stato di avanzamento fisico e finanziario dei singoli interventi previsti, comprensivo anche degli interventi conclusi”.
Il richiamato art. 10, comma 5 prevede che “le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, nel caso di superamento dei valori di cui al comma 2, hanno l'obbligo di predisporre e presentare al comune piani di contenimento ed abbattimento del rumore, secondo le direttive emanate dal Ministro dell'ambiente con proprio decreto entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Essi devono indicare tempi di adeguamento, modalità e costi e sono obbligati ad impegnare, in via ordinaria, una quota fissa non inferiore al 7 per cento dei fondi di bilancio previsti per le attività di manutenzione e di potenziamento delle infrastrutture stesse per l'adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore.”
Si osserva che l’impugnato decreto si limite a prevedere la comunicazione dei fondi accantonati in applicazione di una norma di rango superiore.
La necessità, o meno, di accantonare fondi per il risanamento acustico in assenza del superamento dei limiti non deriva quindi dal decreto impugnato, ma costituisce una questione di interpretazione dell’art. 10, comma 5, della legge n. 447/1995.
Tuttavia, appare chiaro che con l’impugnato decreto, nel prevedere l’obbligo di comunicare i fondi accantonati a partire dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministero abbia presupposto che l’obbligo di accantonamento scatta a prescindere dall’effettiva verifica del superamento dei limiti acustici.
E questo è il significato della legge, tenuto conto delle chiare espressioni letterali ( “sono obbligati” “in via ordinaria”).
Del resto, il termine “Essi”, contenuto nella norma deve essere riferito alle società aeroportuali, e non ai piani di contenimento, come sostenuto dalle ricorrenti, in quanto solo le società possono essere il soggetto passivo di un obbligo di accantonare fondi in bilancio.
Ogni questione sulla ragionevolezza di tale obbligo anche in assenza del superamento dei limiti è estranea all’oggetto del presente giudizio, con cui le società ricorrenti hanno impugnato una disposizione che si limita, come detto, a prevedere la comunicazione dei fondi accantonati.
Anche il secondo motivo dei ricorsi è quindi infondato.
5. Con il terzo motivo le società ricorrenti lamentano l’irragionevolezza e la disparità di trattamento tra i diversi operatori del trasporto della previsione secondo cui gli obiettivi di risanamento previsti dal piano di contenimento e abbattimento del rumore devono essere conseguiti dagli aeroporti entro 5 anni, mentre per gli altri settori del trasporto tale termine è di 15 anni.
Il motivo è privo di fondamento.
Non sussiste alcuna disparità di trattamento in quanto il diverso termine è stato previsto per il conseguimento degli obiettivi di risanamento in presenza di situazioni profondamente differenti, quali un intervento, sicuramente complesso, ma circoscritto, come quello posto a carico delle società di gestione aeroportuale, rispetto ad un intervento più esteso gravante sui gestori di servizi di trasporto, quali ferrovie e strade, che si sviluppano sull’intero territorio nazionale o interessano più regioni e/o più comuni.
Inoltre, i rispettivi termini di 5 e di 15 anni non sono omogenei e paragonabili, perché mentre il termine di 15 anni deve essere calcolato in base ad una serie di scadenze temporali, che iniziano a decorrere con l’entrata in vigore della legge n.4547/1995, il differente termine di 5 anni decorre per le società aeroportuali da scadenze il cui termine iniziale decorre dalla perimetrazione della fasce aeroportuali, di cui si è detto in precedenza.
Infine, la possibilità di proroga del termine da parte delle Regioni comporta che l’eventuale inidoneità del termine concretamente assegnato per il risanamento potrà essere successivamente contestato dalle singole società aeroportuali.
6. E’ infondata anche l’ultima censura, relativa alla dedotta irragionevolezza della previsione di una attività di risanamento congiunta di più gestori, non coordinata con il menzionato diverso termine cronologico per la realizzazione dei piani di risanamento.
Come appena evidenziato, la diversa decorrenza dei termini previsti per gestori diversi può comportare che in concreto le date entro cui portare a termine il piano di risanamento potrebbero anche coincidere o non essere profondamente differenti.
La previsione di una attività congiunta di risanamento non risulta essere quindi irragionevole e le possibili difficoltà lamentate dalle società ricorrenti costituiscono un aspetto esecutivo, che non attiene alla legittimità dell’impugnato decreto, ma alla sua futura fase applicativa.
Peraltro, anche in questo caso è previsto un intervento delle Regioni al fine di indicare priorità diverse nell’esecuzione dei piani di risanamento in modo da assicurare quella coincidenza temporale di esecuzione dei piani di risanamento aeroportuali con quelli delle altre infrastrutture.
Infine, la diversità dei criteri di misurazione del rumore aeroportuale(espresso in Lva) rispetto a quelli previsti per gli altri tipi di sorgenti (Leq), non costituisce un impedimento all’esecuzione congiunta, né comporta la irrazionalità del criterio di ripartizione percentuale degli oneri, essendo il valore del rumore aeroportuale tecnicamente rapportabile ai valori espressi in Leq (come sostenuto dal Ministero e non contraddetto dalla citata relazione tecnica di parte, in cui il passaggio da Lva a Leq viene definito “non di facile attuazione”, ma non impossibile).
7. In conclusione, i ricorsi in appello devono essere respinti, seppur con motivazione parzialmente diversa rispetto a quella del giudice di primo grado per quanto riguarda il primo motivo proposto.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe, con motivazione parzialmente diversa rispetto a quella dell'impugnata sentenza.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Carmine VOLPE Consigliere
Francesco D’OTTAVI Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Roberto CHIEPPA Consigliere Est.
Presidente Consigliere Segretario

Dopo queste due Sentenze ascoltate quali sono i problemi che all'aeroporto vanno a risolvere e alle quali hanno dato soluzione... i parcheggi!!!!!!


Oggi c'è la Riunione della Commissione Ambientale Aeroportuale e tra pochi giorni c'è l'Assemblea dei Soci della Catullo SpA che dovrebbe approvare il Bilancio 2011... e quindi mi domando, i vari responabili si ricorderanno dell'esistenza di queste Due sentenze... ed in particolare si ricorderanno di controllare se nel Bilancio dell'Aeroporto avranno accantonato il 7% delle spese di Manutenzione di Investimento al fine di realizzare i piani di contenimento acustico?

Commenti